lunedì 25 febbraio 2008

I limiti della retorica: il caso NAFTA

Washington DC – Barack Obama attraversa gli Stati Uniti passando di comizio in comizio e si porta sempre dietro il cartello su cui è scritto CHANGE, in caratteri bianchi su sfondo blu. Anche Hillary Clinton viaggia per il paese per incontrare i propri sostenitori nei grandi raduni nei palasport. E anche lei ha con sé il proprio manifesto, su cui si legge SOLUTIONS in bianco su blu e con l’unica differenza di un bordo rosso.

Gli slogan elettorali hanno il compito di condensare in una parola il messaggio di un candidato, la sua personalità e i suoi programmi politici. In alcuni casi però anche la strategia promozionale meglio pensata deve arrendersi a problematiche che proprio non si riescono a ridurre ad una sola parola. Il caso di NAFTA (North American Trade Agreement) è indicativo; i due candidati stanno decidendo in queste ore come affrontarlo e la maniera in cui sceglieranno di parlarne nelle prossime due settimane mentre fanno campagna in Ohio e Texas sarà determinante nel voto del 4 marzo.

NAFTA, (in spagnolo Tratado de Libre Comercio de América del Norte o TLCAN), è l’accordo di libero scambio commerciale stipulato tra gli Stati Uniti, il Canada e il Messico ed entrato in vigore il 1 gennaio 1994. Il punto centrale del trattato era la progressiva eliminazione di tutte le barriere tariffarie fra i paesi che vi aderivano.

Fin dalle sue prime ore l’accordo suscitò un dibattito accanito tra coloro che intravedevano in esso la possibilità di un boom economico favorito dall’abbattimento delle barriere doganali (in particolare le grandi società multinazionali che ottennero l’accesso facilitato a tutti i mercati del Nord America) e coloro che temevano che il passaggio del trattato avrebbe avuto conseguenze nefaste sui lavoratori e sui contadini. In particolare provarono a ribellarsi i sindacati in Canada e Stati Uniti, spaventati che milioni di posti di lavoro si trasferissero in Messico dove i salari sono inferiori. E provarono ad opporsi anche i contadini in Messico, che temevano che la produzione agricola americana, fortemente sovvenzionata dal governo, invadesse il mercato messicano mettendo fuori gioco la controparte locale.

Dopo lunghe discussioni, il trattato fu ratificato negli Stati Uniti nel 1993, grazie in particolare alla determinazione del presidente dell’epoca Bill Clinton. Da allora sono passati quindici anni, ma nonostante questo le polemiche su NAFTA non si sono per nulla calmate. Il futuro dell’accordo di libero scambio sta diventando uno dei temi chiave della campagna per le primarie democratiche di quest’anno, in particolare in questi ultimi giorni in cui si sente sempre più spesso parlare di recessione e in cui il carrozzone elettorale sta attraversando una serie di stati a base industriale e oggi economicamente depressi, come il Wisconsin di martedì e l’Ohio del 4 marzo.

Entrambi i candidati del partito dell’asinello, Obama e Clinton, ripetono agli elettori ormai quasi ossessivamente che rinegoziare i termini di NAFTA in modo da tenere conto delle esigenze dei lavoratori impiegati nel settore industriale americano è tra le loro priorità assolute. Il tema NAFTA è stato una parte importante del comizio tenuto da Hillary Clinton durante la notte elettorale che è seguita al voto in Wisconsin. Parlando da Youngstown in Ohio, dove la Senatrice dello Stato di New York ha inaugurato la corsa verso le primarie del 4 marzo, Clinton ha dichiarato: “È ora di fare sul serio con NAFTA, perché non sta funzionando come dovrebbe per gli americani”. Obama, dal canto suo, torna sull’argomento ripetutamente, ed in particolare accusa Hillary di aver sostenuto, al tempo della sua ratifica, i contenuti del trattato ed il lavoro portato avanti dal marito Bill che permise il suo passaggio. Parlando dal Wisconsin il 13 febbraio, alla conclusione della Potomac Primary in Maryland, Virginia e Washington DC, Obama ha promesso ai suoi sostenitori; “Sapete, dopo che suo marito divenne firmatario di NAFTA, Clinton se ne andava in giro a raccontare che il trattato era una cosa meravigliosa, che avrebbe portato moltissimi benefici…Quando diventerò presidente, io non firmerò alcun altro accordo di libero scambio a meno che non contenga protezioni per l’ambiente e per i lavoratori americani”.

La battaglia su NAFTA non deve sorprendere. Al di là delle buone intenzioni di Clinton e Obama, tutti i sondaggi indicano che i lavoratori americani non vedono di buon occhio il trattato e sperano che il nuovo presidente si impegni a rinegoziarlo. Il Wall Street Journal scrive; “L’opinione dei democratici del Wisconsin a proposito del commercio internazionale illustra le ragioni per le quali sia Obama che Clinton hanno cercato di sottolineare il proprio scetticismo nei confronti del libero scambio…Sette democratici su dieci dichiarano che il commercio internazionale causa la perdita di posti di lavoro in Wisconsin”. Un sondaggio pubblicato il 20 febbraio dalla società Gallup ha rilevato che, per la prima volta dal marzo 2004, l’economia è considerata dagli elettori americani come il problema più importante, davanti alla guerra in Iraq. Il 34% degli intervistati la pensa in questa maniera, quasi il doppio del 18% registrato in gennaio.

Se queste tendenze d’opinione sono chiare come appaiono, c’è da chiedersi com’è mai Barak Obama, nel discorso fatto dal Texas a conclusione del voto in Wisconsin martedì, abbia scelto di accennare NAFTA solo brevemente, e per di più mettendolo in diretta relazione ai lavoratori dell’Ohio e non alla situazione dello stato in cui si trovava; “Siamo qui, perché ci sono lavoratori a Youngstown, Ohio, che hanno visto sparire un posto di lavoro dopo l’altro a causa di accordi di libero scambio malfatti come NAFTA”, ha detto il Senatore dell’Illinois.

Il problema è che la realtà non è affatto semplice: la retorica e le strategie elettorali si stanno scontrando con la diversità d’opinioni e di preoccupazioni che caratterizza un paese di dimensioni continentali come gli Stati Uniti. A quanto pare, il Texas ha un’opinione tutta sua degli effetti del NAFTA. Andrew Leonard di Salon riporta un commento fatto martedì sera da Jim Moore, analista politico e autore di The Bush’s Brain, un libro sullo stratega della carriera politica di George W. Bush Karl Rove: “Jim Moore ha suggerito che la decisione di Obama di accanirsi contro NAFTA non gli sarà d’aiuto in quella parte del Texas che confina con il Messico. In particolare questo è il caso delle quattro contee ispaniche che costituiscono la Lower Rio Grande Valley. Hidalgo County, soprattutto, sta vivendo un grande boom economico grazie a NAFTA.” Kyle Arnold scrive sul sito web The Monitor, che si occupa di politica locale texana, di come l’economia della regione sia cambiata in seguito all’introduzione di NAFTA; “Il trattato ha dato nuovo impulso all’industria e ha creato migliaia di posti di lavoro. Inoltre, l’economia messicana in crescita ha reso la valle una destinazione ambita dai turisti benestanti, un numero sempre in aumento. Oggi i visitatori messicani sono responsabili per più di un terzo degli scambi commerciali dell’area, secondo dati della Camera di Commercio di McAllen”.

Il punto qui non è di determinare le tante conseguenze dell’applicazione del NAFTA sull’economia del Nord America. Il punto è che Clinton e Obama si trovano di fronte a un dilemma. Da un lato, nella lotta per l’Ohio devono cercare di convincere gli elettori di essere vigorosamente contrari al NAFTA. Nel Texas del sud invece, la critica eccessiva del trattato potrebbe avere effetti opposti a quelli desiderati. “Che divertimento!” Scrive Leonard. “Per le prossime due settimane, vedremo Obama e Clinton passare il proprio tempo a distruggere NAFTA in Ohio senza mai nemmeno nominarlo in Texas”.

Il giornalista di Salon ha un’idea per obbligare i due candidati ad affrontare le diverse sfaccettature di questa problematica. Qualcuno dovrebbe domandargli; “Senatori, dai dati emerge che NAFTA ha causato la perdita di posti di lavoro in Ohio e la creazione di nuovi nel Texas del sud. Quale sarà l’approccio della vostra amministrazione nel bilanciare questi opposti interessi?” Difficilmente, di fronte ad una domanda di questo genere, i candidati alla nomination democratica potranno nascondersi dietro la retorica fatta di una sola parola, sia essa CHANGE o SOLUTIONS.

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