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giovedì 6 novembre 2008

La Chicago di Obama







mercoledì 5 novembre 2008

Obama!

Chicago, IL - Una citta', e un paese, in delirio. E' l'una e mezza di notte a Chicago e ancora per le strade, anche in questo quartiere residenziale a nord, lontano da Grant Park, si sentono le grida degli americani che festeggiano. Un tassista corre per le strade a finestrino abbassato e grida in un altoparlante "Obama! Obama!" Stessa cosa a Washington D.C. dove la gente si raduna alla Casa Bianca. E cosi' per le strade di tutta America.
Eppure non si tratta della vittoria dei mondiali di calcio. E nemmeno di un ennesimo anello dei Chicago Bulls di Micheal Jordan. L'America ha semplicemente eletto il suo nuovo Presidente, ma questa volta l'occasione pare speciale. 700.000 persone hanno scelto di festeggiarla in piazza a Chicago, ovvero a Grant Park, il parco stretto tra l'elegante Michigan Avenue e il gigantesco Lago Michigan. Si sono messi in fila pazientemente fin dalle prime ore del mattino, bianchi e neri, uomini e donne, giovani e vecchi. Ma soprattutto tanti giovani: "Guardali, guarda quanti ragazzi ci sono qui. E' meraviglioso," strilla Sharon Davis a conclusione della serata mentre il pubblico lentamente s'avvia verso l'uscita.
Tra i vari cambiamenti che il Presidente Barack Obama promette, uno tra i piu' importanti e' rappresentato proprio dalla rinnovata spinta verso una politica attiva, fatta sul campo e fatta di partecipazione diretta. Resa possibile in particolare da questo entusiasmo dei giovani, di una nuova generazione di elettori.
"Sono esausta ma felice,"dichiara Cat Brunson, una microbiologa che e' arrivata ai cancelli di Grant Park alle 16 questo pomeriggio. "E' bello vedere questo paese nuovamente unito," dice sottolineando cio' che, piu' di tutto, le e' piaciuto del discorso di accettazione della vittoria di Obama.
Ed e' questa una seconda promessa, ovvero di lavorare per tutti gli americani e con tutti gli americani per risollevare il paese da questo momento di crisi e divisione interna. E John McCain, bisogna riconoscerglielo, dall'albergo di Phoenix dove, davanti a un pubblico dimesso, ha reso ufficiale la sconfitta, si e' gia' detto disponibile a servire con umilta' e onore il nuovo Presidente.
"Mi sento davvero in maniera fantastica," sorride Chambrous Myers. "Speranza e cambiamento, c'e' n'e' davvero bisogno." Per Myers, questo significa riforma sanitaria, lavoro e non doversi piu' preoccupare per il futuro dei propri figli.
Perche' Obama, oltre alla retorica a tratti entusiasmante a tratti fin troppo hollywoodiana, ha giurato che portera' una politica nuova alla Casa Bianca, fatta di riforme reali. Oltre naturalmente al cucciolo di cane promesso alle due figlie in caso di vittoria ("Ve lo siete meritato," ha detto Obama questa sera rivolgendosi loro).
Il compito sara' arduo e Obama ha gia' cominciato a preparare il paese di ammiratori al fatto che non bastera' un anno, nemmeno i primi quattro, a sistemare le cose. Per ora pero' il primo candidato afro-americano alla Presidenza degli Stati Uniti si merita una pausa di riflessione che gli consenta di rendersi conto di aver appena portato a termine un'impresa storica.
Venuto quasi dal nulla, Obama ha costruito la piu' grossa campagna elettorale della storia degli Stati Uniti, portata avanti dall'entusiasmo della gente comune come non si vedeva da decenni, e ha finito per portare a casa una vittoria che va oltre le migliori aspettative.
Al momento, CNN attribuisce a Obama 338 voti elettorali, contro i soli 160 di McCain. Il North Carolina, l'Indiana e il Missouri devono ancora essere decisi. Obama pero' ha gia' conquistato Pennsylvania, Ohio, Virginia, Florida, Colorado, New Mexico, Nevada e Iowa. E ha battuto il record di numero di voti ricevuti che apparteneva a Reagan dal 1984.
A pensare che la prossima coppia presidenziale sara' un giovane duo bello e di successo, che la prossima First Lady americana sara una signora longilinea elegante e di colore, e che il prossimo Presidente degli Stati Uniti sara' un tale cresciuto tra l'Indonesia e il Kenya e che fa di nome Barack Hussein Obama c'e' proprio da chiedersi: "Sono sveglia o sto sognando?"

martedì 4 novembre 2008

Chicago si prepara a una grande festa. Rimarra' delusa?

Chicago, IL -- Il sole splende sopra Chicago e, con temperature che superano i 20 gradi centigradi, questo potrebbe essere il voto piu' "caldo" dal 1964. Gli automobilisti hanno spolverato le proprie decapottabili questa mattina e se ne vanno in giro per la citta' mentre una fila infinita di gente corre sulla sponda del Lago Michigan all'estremita' est di Chicago.
I residenti stanno anche andando a votare in grandi numeri e le operazioni sembrano procedere senza problemi nonostante l'enorme partecipazione. Persino durante le prime ore d'apertura dei seggi, quando molti americani vanno a votare prima di andare al lavoro, tutto e' parso sotto controllo con attese che raramente superavano la mezz'ora. In questa roccaforte democratica, la maggiorparte dei cittadini e' per Barack Obama.
L'eccitazione della gente e' palpabile e la citta' attende impaziente i risultati di questa sera. "Ho votato per Obama," dichiara Paul Walker, "Anche se ci fossero volute sette ore, non sarebbe importato; me ne starei ancora in fila." Mentre questo garagista di colore parla, una signora ci passa affianco e urla: "Obama! E' lui l'unico!"
L'umore in giro per Chicago, e in particolare in quei quartieri in cui la popolazione e' per la maggior parte afro-americana, e' gioioso. Gli elettori hanno grandi speranze e si preparano per una grande festa. Obama, che ha votato questa mattina a Hyde Park, il suo quartiere di residenza, parlera' questa sera a un mega-raduno organizzato nel centro citta'. La campagna di Obama e la polizia di Chicago hanno dichiarato di attendere fino a un milione di partecipanti.
"Se perde siamo nei pasticci," e' convinta Elsie McBride, una nonna in pensione che ha appena votato e ora si sta occupando dei due nipoti piccoli. "McCain riprenderebbe esattamente dove ha lasciato George W. Bush," si preoccupa McBride. Come tanti altri cittadini neri di Chicago, McBride e' anche convinta che ci potrebbero essere reazioni addirittura violente se Obama dovesse perdere. In particolare proprio da parte della comunita' afro-americana: "Ne stavo parlando con mia figlia di recente e eravamo tutte e due d'accordo che si potrebbero avere degli scontri," spiega McBride.
Ricky Johnson, un quarantanovenne che lavora per il Chicago Park Service, non e' cosi' pessimista. "Se Obama perde, vabbe', perde. Vorra' dire che andremo avanti cosi'," dice. "Spero che vinca pero'. La gente qui ha bisogno di un lavoro."
Karyn Morrow, una commessa che oggi lavora ai seggi e distribuisce le schede agli elettori, compilera' la propria questa sera dopo aver finito il turno. Spera che Obama "cambi le cose brutte in cose belle." Nonostante ammetta che una sconfitta rappresenterebbe una grande delusione, Morrow appare ottimista e conclude: "Non penso Obama possa perdere. E' tempo di cambiamento."

Foto originali di Valentina Pasquali

L'improbabile ascesa di Barack Obama

Chicago, IL -- Facendo colazione in un bar nel nord di Chicago mi imbatto in Evan Brandstadter, un Professore di Storia Americana in pensione che ha insegnato a lungo a Cornell University. Brandstadter racconta di aver cominciato le proprie attivita' di volontariato per le campagne elettorali democratiche di Chicago quando aveva solo otto anni. Era il 1955 e la madre lavorava per l'elezione a sindaco di Richard J. Daley, padre dell'attuale sindaco Richard M. Daley.
Quest'anno, Brandstadter si e' dedicato a un volontariato piu' informale, cercando di parlare di Barack Obama agli amici, parenti e conoscenti. "Per la generazione dei baby boomers che ha davvero vissuto gli anni sessanta questa elezione e' la piu' emozionante da oltre quarantanni a questa parte," e' convinto Brandstadter.
La prima volta che questo professore universitario in pensione si trovo' il nome di Barack Obama su una scheda elettorale fu nelle primarie per la selezione del candidato democratico al Senato americano nel 2004. Obama era gia' Senatore dello Stato dell'Illinois ma in un distretto elettorale diverso da quello in cui Brandstadter votava. "Ero convinto che non avesse alcuna speranza," racconta, "mi domandavo chi mai puo' votare per uno con un nome cosi'. E poi la macchina politica di Chicago non lo sosteneva affatto." Brandstadter voto' per Obama gia' allora, "ma ero convinto di buttare via il mio voto."
Ricorda Brandstadter di aver guardato in televisione il famoso discorso di Obama fatto alla Convention del Partito Democratico nel 2004 e ricorda di esserne stato colpito: "Ero convinto che si trattasse di un politico emergente, ma non pensavo che sarebbe successo cosi' velocemente. Penso che gli storici scriveranno dell'ascesa di Obama per i prossimi cinquantanni."
Nell'analisi di Brandstadter, Obama deve la sua fortuna politica alla posizione contraria alla guerra in Iraq sostenuta fin dall'inizio del conflitto. E, al contempo, fu con il sostegno alle operazioni militari nel Golfo che Hillary Clinton comincio' la propria caduta.
Brandstadter ha sostenuto Obama fin dalle primarie democratiche di quest'anno, anche se senza troppa convinzione. Solo ora si dice sicuro che Obama conquistera' la Presidenza, e anche in maniera molto netta.
Se questa previsione si avverera', la preoccupazione piu' grossa per Brandstadter e' che Obama venga, a un certo momento, assassinato: "Per la mia generazione che ha vissuto gli anni sessanta e e' sopravvissuta alle uccisioni di John F. Kennedy, Martin Luther King e Robert Kennedy, questa e' una paura reale, anche se spesso non detta," mi racconta.
Ci sono pero' anche altri aspetti di cui Obama si dovrebbe preoccupare, anche in caso di vittoria. Innanzitutto le aspettative nei suoi confronti sono talmente alte che sara' fin troppo facile deluderle. Soprattutto considerato quale situazione nazionale e internazionale il prossimo Presidente degli Stati Uniti dovra' affrontare: "Siamo fortunati se il Presidente Obama riesce a mettere qualche toppa qui e la' nei primi quattro anni di mandato," pensa Brandstadter.
La metafora che usa per descrivere questa situazione e' tratta da il film Il Laureato. Dopo che Dustin Hoffman riesce a strappare l'amore Elaine dall'altare, i due scappano dai parenti infuriati e salgono su un pullman. "Ecco, in quel momento, dopo che tutto l'entusiasmo e l'eccitazione dell'avventura sono finiti," racconta Brandstadter, "i due si guardano negli occhi con un certo stupore come a dirsi: e adesso?"
Senza dubbio le cose andranno ancora peggio se sara' John McCain a strappare una vittoria dell'ultimo minuto. "Innanzitutto penso che scoppieranno scontri razziali per tutto il paese," e' convinto Brandstadter, "I neri americani si sentiranno ancora una volta presi in giro."
In secondo luogo, un'ennesima vittoria repubblicana darebbe luogo a un'ondata di disperazione tra i progressisti e i giovani, che hanno davvero posto molte speranze nel voto di oggi.
In questo caso il parallelo storico che Brandstadter propone e' il seguente: "Pensa se nell'elezione del 1860 Lincoln avesse perso. Cosa sarebbe accaduto con la guerra civile?" Oppure ancora, "pensa se Franklin Delano Roosevelt avesse perso contro Hoover? Pensa a cosa sarebbe capitato a questo paese con la Grande Depressione se non ci fosse mai stato il New Deal?"
Prima di mettersi a leggere il New York Times, Brandstadter scrive su un pezzetto di carta la propria previsione sui risultati di questa notte. Secondo lui, Obama vincera' almeno 317 voti elettorali.

Obama ha votato

Chicago, IL -- Barack Obama e la moglie Michelle, accompagnati dalle due figlie, hanno appena votato nel loro seggio presso la scuola elementare Shoesmith a Kenwood, quartiere residenziale di Chicago vicino all'Universita' (foto CNN).

giovedì 30 ottobre 2008

I volontari di Virginia Beach



Eccovi le foto dal giro fatto sabato scorso nel sud della Virginia. L'area di Virginia Beach, Norfolk e Suffolk, dove i volontari ritratti in queste foto vanno porta a porta a convincere gli elettori a votare Barack Obama, e' tra le piu' contese del paese.

martedì 21 ottobre 2008

Le strategie elettorali per lo sprint finale

Washington DC - Mancano 14 giorni al voto. Questo venerdi' mattina la squadra elettorale di Barack Obama decidera' come utilizzare le risorse disponibili a quel momento per cercare di coprire tutti gli stati piu' contesi con la massima mobilitazione che le finanze di Obama si possono permettere. Sulla base del budget del 24 ottobre, lo staff del Senatore verra' spostato da uno stato all'altro a seconda della necessita'. Nuovi dipendenti potrebbero essere assunti per lo sprint finale, cosi' come altri potrebbero essere rimpiazzati o semplicemente licenziati, nel caso che i soldi non bastino. In realta' quest'ultima possibilita' e' relativamente improbabile, viste le cifre che il candidato democratico alla Casa Bianca continua a raccogliere.
Rimane il fatto che le mosse decise a livello strategico venerdi' mattina (sia da Obama che da McCain), rapreseteranno una indicazione interessante di quale sia lo stato reale della competizione elettorale.
Quattro anni fa, nella campagna del 2004 fra John Kerry e George W. Bush, facevo la volontaria per i democratici nell'Arizona settentrionale. A 12 giorni dal voto, il mio boss ricevette ordini dall'ufficio centrale di Washington DC di salire in macchina immediatamente e trasferirsi a Las Vegas. E cosi' facemmo, dopo improvvisate e tumultuose lavatrici notturne, eravamo sulla strada per i casino' e il deserto del Nevada dove avremmo finito il lavoro di porta a porta e telefonate agli elettori. In sostanza, il Partito Democratico aveva stabilito che l'Arizona era ormai persa e quindi aveva ridiretto tutte le proprie risorse verso quegli stati che sembravano ancora indecisi (Kerry fini' per perdere anche il Nevada).
In maniera simile, di recente, John McCain si e' ritirato dal Michigan, sospendendo gli spot televisivi e ridirigento la maggior parte del proprio personale sul territorio verso altri stati.
Dunque rimane da vedere in che direzione andranno le macchine del carrozzone elettorale questo weekend.
Nel frattempo, la campagna di Obama fa leva proprio su questo ultimo momento di distribuzione risorse per convincere la gente a sborsare altro danaro. Questo il testo dell'email che gira dalla scorsa settimana:

Dear Valentina,
Election Day is exactly two weeks from today.
But right now, we're facing an urgent deadline that will determine exactly where we can compete -- and how fiercely -- in the final push.
On Friday morning, we have to make the final, hard decisions about deploying our resources. That means your support by Thursday at midnight is absolutely vital. Your first donation of $10 or more will provide resources urgently needed before the deadline. And you'll receive a limited edition Obama-Biden car magnet.


venerdì 3 ottobre 2008

Il dibattito per la vice-presidenza secondo i democratici

St Louis, MO -- Mentre il democratico Joe Biden e la repubblicana Sarah Palin duellavano giovedi' sera a Washington University, nell'unico dibattito tra candidati alla vice-presidenza dell'anno, molti residenti di St Louis hanno seguito lo scontro dai loro salotti, in feste private, e a un'evento pubblico organizzato dal piccolo college privato Webster University, che si trova nel comune limitrofo Webster Groves. Un gruppo di circa un centinaio di persone, tra studenti, professori e impiegati, si e' ritrovato a Webster. L'ex Governatore del Missouri Bob Holden, oggi direttore del Forum sugli Affari Pubblici dell'Universita', ha organizzato qui un ritrovo gratuito e aperto al pubblico, con tanto di schermo piatto, pizza e coca-cola.
Nelle ore che hanno preceduto il dibattito, la maggior parte dei presenti ha espresso sentimenti molto negativi riguardo Sarah Palin e aspettative pessimistiche della sua performance in serata. Allo stesso tempo, molti si sono detti preoccupati che Biden potesse risultare professorale e arrogante. Arthur Banks, ex cameriere e ora dipendente da un sussidio di invalidita', ha dichiarato: "So per certo che Palin fara' molti errori questa sera." Banks, che votera' per Obama a novembre perche' ha paura che McCain revochi il suo sussidio, aveva visto la disastrosa intervista di Palin con Katie Couric sulla CBS ed era pronto al peggio.
Un gruppo di "mamme contro Sarah Palin" condivideva un'opinione simile. "Penso che Palin evitera' di rispondere alle domande, attacchera' Biden senza sosta, e cerchera' in tutti i modi di confondere il pubblico per nascondere la propria ignoranza," ha commentato Sue Hyde. Queste signore si sono dette preoccupate che Biden potesse inciampare di quando in quando e, in particolare, potesse risultare maschilista: "Sono molto felice che il moderatore di questa sera sia una donna -- Gwen Ifill di PBS -- perche' in questo modo Palin avra' meno possibilita' di lamentarsi per un trattamento discriminatorio," era convinta Jacquelin Bauder.
Alla fine del dibattito pero', molti si sono trovati d'accordo che in realta' le cose non sono andate poi cosi' male. Sarah Palin e' apparsa piu' sicura di se' di quanto non fosse stata durante le interviste televisive con Charlie Gibson e Katie Couric, e Joe Biden, concentrandosi esclusivamente sulle politiche di John McCain, ha evitato con successo di dibattere direttamente Palin e di criticare le posizioni o l'esperienza personale del Governatore dell'Alaska.
Il pubblico convenuto a Webster University ha seguito il dibattito attentamente, partecipando con risa, applausi e fischi. Quasi esclusivamente democratici, i presenti hanno spesso atteso gli indizi dati dalle espressioni di Joe Biden per decidere quando ridere e quanto intensamente dei commenti fatti da Palin. Secondo l'opinione di tutti, il dibattito e' andato molto meglio del previsto, entrambi i candidati hanno offerto delle prestazioni soddisfacenti e la discussione e' stata piu' interessante e ricca di contenuti del primo dibattito presidenziale tra John McCain e Barack Obama.
Nonostante comunque contrari alla candidatura di Sarah Palin, molti hanno riconosciuto il fatto che il Governatore dell'Alaska avesse fatto un buon lavoro durante il dibattito. "Credo che sia Biden che Palin siano riusciti a suggerire punti importanti," ha detto Colette Cummings, una impiegata di Webster University, "Biden ha parlato in maniera competente dell'economia mentre Palin ha sottolineato con successo le proprie idee in fatto di energia." Colette e' una sostenitrice di Obama e non e' d'accordo con Palin in particolare per quanto riguarda i diritti degli omosessuali.
Susan Napoleon si e' detta soddisfatta del fatto che tutto sia andato liscio: "Non ho notato errori gravi o pause imbarazzanti e entrambi sono apparsi sicuri di se' e competenti." Susan, che lavora per il Preside della Facolta' di Comunicazione, votera' per Obama, anche se dice di non fidarsi del Senatore dell'Illinois. Il dibattito di giovedi' notte l'ha aiutata a farsi una idea piu' consapevole di chi sia Joe Biden: "Pensavo fosse una testa calda e invece e' stato tranquillo, deciso e sincero." Per quanto riguarda Sarah Palin, Susan la pensa come i piu', ovvero che Palin ha offerto una prestazione al di sopra delle attese: "E' stata brava a ripetere continuamente di essere il Governatore dell'Alaska," ha commentato Susan. Nonostante a suo parere Palin non sia riuscita nell'impresa completamente, questa e' stata la strategia usata dal Governatore per cercare di rispondere alle accuse di mancata esperienza.
"Sono contenta di aver guardato il dibattito," ha dichiarato Kara Beckman, "e ho potuto confermare la mia scelta di voto." Una studentessa di Webster all'ultimo anno, Kara votera' per Obama perche' "capisce l'americano medio meglio dei repubblicani." A Kara e' piaciuto il fatto che Biden abbia fornito fatti e numeri a sostegno delle proprie affermazioni mentre Palin "ha fatto solo delle chiacchiere." Un'altra studentessa e amica di Beckman, Andrea Hale, si e' lamentata del fatto che Palin "ha evitato di rispondere alle domande" e invece ha continuato a ripetere incessantemente i quattro punti di programma elettorale che i consulenti di McCain le avevano fatto memorizzare.
Ismaeel Snipes, anche lui studente, votera' per Obama perche' pensa che il piano economico del candidato democratico sia meglio di quello di McCain, perche' e' convinto che Obama capisca davvero la politica estera del ventunesimo secolo e perche' John McCain e' un sostenitore delle politiche di George W. Bush. Al contempo, Ismaeel dice di essere un appassionato di Palin: "Mi piace la sua energia e condivido i suoi valori," ha spiegato. Secondo Ismaeel, Palin ha fatto meglio delle attese. Ismaeel si e' anche dichiarato molto soddisfatto della prestazione di Biden: "Non e' mai stato arrogante, e' stato rispettoso, e pero' non ha neanche mai concesso nulla a Palin, e' davvero apparso presidenziale. Si e' perfino sinceramente commosso," ha rammentato Ismaeel riferendosi al momento in cui Biden ha pianto raccontando dell'incidente mortale che ha colpito la prima moglie e la figlia piu' piccola nel 1972.
All'unanimita', la gente che ha guardato il dibattito a Webster si e' trovata d'accordo su un giudizio generalmente positivo dell'evento. L'opinione diffusa era anche che Palin fosse sembrata piu' competente del previsto in parte perche' le aspettative erano cosi' limitate, dopo la sua performance imbarazzante nell'intervista con Couric. Non a caso, Kara Beckman, l'unica persona che mi ha detto di pensare che la prestazione di Palin fosse stata peggiore di quanto non avesse anticipato, era anche l'unica tra i presenti a non aver seguito Palin sulla CBS.
In conclusione, pero', i presenti hanno determinato che Biden e' stato il vincitore del dibattito, un'opinione questa che rispecchia i risultati di un sondaggio condotto da CNN tra i suoi spettatori immediatamente dopo l'evento. L'84% degli intervistati pensa che Palin abbia offerto una prestazione al di sopra delle proprie capacita'. Il 51% pero', contro solo il 36%, e' convinta che abbia vinto Biden.


Palin non risponde alle domande e Biden piange

St Louis, MO -- Si e' da poco concluso il primo e unico dibattito tra i candidati alla vice-presidenza; il democratico Senatore Joe Biden e la repubblicana Governatore Sarah Palin.
Lo scontro televisivo che e' stato ospitato da Washington University a St Louis e' stato piu' interessante del primo dibattito presidenziale della settimana scorsa tra McCain e Obama. Sia Biden che Palin sono meno cauti nell'arte dell'oratoria politica.
Arrivata al dibattito dopo le catastrofiche interviste televisive con Charlie Gibson e Katie Couric, Palin ha fatto meglio del previsto. La gente era talmente scoraggiata dalle prestazioni di Palin, che anche solo il fatto che il Governatore dell'Alaska sia riuscita concludere la serata intatta e' parso un miracolo.
Grazie al formato del dibattito, che non prevedeva un botta e risposta tra i due candidati, ma piu' semplicemente una serie di domande fatte dal moderatore ai due, ha aiutato Palin. Le ha infatti lasciato un po' piu' di spazio per ripetere i punti memorizzati e evitare di rispondere alle domande delicate. Evidentemente la campagna di McCain l'aveva istruita su pochi centrali punti e l'ha mandata sul palco con l'ordine di non deviare mai dallo script.
In economia, Palin ha ripetuto incessantemente che la crisi e' dovuta alla corruzione e all'avidita dei banchieri di Wall Street, promettendo, quasi come un pastore evangelico, che l'Amministrazione McCain si occupera' di redimere i peccatori.
In fatto di politica estera Palin si e' concentrata sulla surge in Iraq e sulla minaccia rappresentata da regimi quali l'Iran e la Corea del Nord che "odiano l'America."
Infine, e per tutte le altre domande, Palin e' riuscita con una certa maestria a riportare la conversazione sul tema dell'energia, l'unico ambito nel quale - da governatore di uno stato produttore di greggio - Palin ha un po' di esperienza personale.
Tra una domanda e l'altra, la candidata repubblicana ha naturalmente fatto quanto piu' riferimenti possibili alla famiglia e al paese di Wasilla.
Per quanto riguarda Joe Biden, il timore di tutti era che non fosse in grado di dibattere una donna, e per di piu' molto piu' giovane di lui. Si pensava che sarebbe potuto risultare arrogante, professorale e antipatico. Nulla di tutto cio'. Biden ha evitato il piu' possibile di confrontarsi direttamente con Palin e ha parlato quasi esclusivamente di John McCain. E' riuscito anche con successo a sottolineare il legame di continuita' fra la politica di George W. Bush -- detestata ormai da tutti -- e quella che McCain/Palin porterebbero alla Casa Bianca.
La differenza nel livello di competenza di Biden e Palin e' risultato chiaro, in particolare nel linguaggio usato dai due per parlare di politica estera. Mentre Biden usa termini accurati e mostra di conoscere le situazioni sul territorio, Palin parla di Pakistan come potrebbe parlare della partita di hockey del figlio della settimana scorsa. Questo pero' non e' particolarmente rilevante agli occhi di tanti americani che di politica estera non si interessano affatto e che condividono il punto di vista di Palin, ovvero la paura di tutto cio' che e' oltre i confini degli Stati Uniti.
Joe Biden, a sorpresa, ha avuto anche un momento di commozione reale. Stanco di sentire parlare della famiglia di Sarah Palin, come esempio del fatto che lei puo' relazionarsi all'americano medio, ma non il Senatore del Delaware, Biden ha ricordato del tragico incidente che, durante il suo primo anno al Congresso quasi trentanni fa', uccise la moglie, la figlia di 13 mesi e feri' gravemente i due figli piu' grandi. Biden, che si risposo' qualche anno dopo con l'attuale moglie, ha detto praticamente in lacrime, "Non ne posso piu' di sentire dire che non so cosa significhi crescere due figli da single. Solo perche sono un uomo, non significa che non capisca le difficolta' di tanti americani. Capisco eccome." Palin non ha fatto una piega e ha ricominciato a parlare, probabilmente di energia. Biden si e' immediatamente ripreso.
Ho seguito il dibattito con un gruppo di democratici. Si sono tutti trovati d'accordo sul fatto che Palin abbia fatto meglio del previsto, ma che Biden abbia fatto ancor meglio. L'unica che mi ha detto di pensare che la prestazione di Palin sia stata peggiore delle attese e' una studentessa che non ha visto il Governatore dell'Alaska durante le tragicomiche interviste con Couric.
Perlomeno nel gruppo di persone con cui ho parlato questa sera il dibattito non ha fatto cambiare idea a nessuno, ha offerto maggiori informazioni sui vice-presidenti, di cui si sa relativamente poco, e ha rinforzato le convinzioni gia' raggiunte prima dell'inizio della serata.

giovedì 2 ottobre 2008

Il giorno del Signore -- parte seconda

Birmingham, Alabama -- Lasciata la chiesa battista e afro-americana su 16th Street, mi dirigo verso le colline fuori Birmingham. Questa la seconda parte del mio incontro con la vita religiosa dell'Alabama.

La mega-chiesa presbiteriana Briarwood si trova a poche miglia fuori Birmingham e offre al visitatore un panorama completamente diverso. Briarwood, che fu fondata nel 1960, e' considerata il simbolo della Presbyterian Church of America, una organizzazione creata nel 1973 proprio a Briarwood da 250 chiese deluse dal fatto che la chiesa presbiteriana mainstream era diventata troppo progressista. La congregazione conta oggi circa 4.200 membri. Il complesso di Briarwood comprende una scuola cristiana, con 1900 studenti dall'asilo alle superiori, e un seminario. Nel 1988 Briarwood si trasferi' in questo enorme edificio sulle colline fuori citta', la cui costruzione costo' 32 milioni di dollari. Nel 1998 fu fatta una prima aggiunta, da 5,5 milioni di dollari e questo ottobre deve cominciare la costruzione di una seconda ala del complesso per un totale di quasi 30 milioni di dollari. "Abbiamo bisogno di piu' spazio perche' non ci stiamo piu'," dice Stan Goebel. "Abbiamo bisogno di posti auto, uffici per i dipendenti, e costruiremo anche un nuovo centro giovani di circa 3000 metri quadrati," aggiunge Goebel, che e' un missionario e di mestiere attraversa i quartieri poveri di Birmingham per parlare alla gente di Gesu'.
Mentre il sole tramonta lentamente sui sobborghi collinari di Birmingham, SUV massicci entrano nel parcheggio alberato fuori dalla chiesa. Coppie anziane, famiglie con bambini piccoli, e tantissimi ragazzi giovani, entrano nell'imponente edificio di mattoni rossi. La messa delle 18 e' solo l'ultima di una lunga serie -- Briarwood offre la messa anche alle 8 e alle 11 del mattino e inoltre organizza cosidette messe etniche in spagnolo, coreano e giapponese durante tutto l'arco della giornata. "Mi ricordo di aver appreso, a certo punto, che le attivita' settimanali di Briarwood toccavano quota mille," dice Glenda Wood, una casalinga che fa volontariato in chiesa circa 15 ore a settimana e che sta spingendo un carello carico di documenti in giro per l'atrio spazioso.
L'interno della chiesa e' un ottagono di stucco bianco scintillante, con un grande palcoscenico sul retro, su cui si erge il pulpito. Due enormi schermi televisivi ad alta televisione coprono le due pareti affianco al palcoscenico. Durante la messa le parole delle canzoni cristiane in stile pop suonate da un giovane con una chitarra e da una donna con un violino scorrono sui due schermi. Le televisioni mostrano anche una presentazione in PowerPoint che riassume i punti principali del sermone del Reverendo Harry Reeder.
Durante la messa non c'e' menzione alcuna di questioni politiche e l'omelia del Pastor Reedeer e' interamente incentrata su complicati dettagli teologici che e' a tratti difficile comprendere. Briarwood porta avanti una teologia pura e basata strettamente sulla lettura testuale della Bibbia e fonda la sua missione su un'attivita' di proselitismo: "Questa e' una chiesa militante," dice il Reverendo Reeder durante il sermone, "e' sara' trionfante." Briarwood e' conosciuta persino per gruppi chiamati Embers to Flame (Tizzoni sulla Fiamma), ovvero delle squadre di missionari incaricati di girare per il paese e per il mondo per rienergizzare la fede in quelle congregazioni che si sentono in difficolta'.
"Crediamo che la parola di Gesu' salvi le persone. Noi offriamo la nostra mano e vediamo chi e' pronto a rispondere," spiega il Reverendo Reeder, che e' diventato il responsabile di questa congregazione nove anni fa. Come il Reverendo Price di 16th Street Church, anche lui ha deciso di non predicare in favore ne di McCain ne di Obama: "Sono convinto che sia un mio diritto se volessi farlo, ma non penso sia giusto nei confronti dei miei parrochiani. Non diciamo alla gente in che modo votare," commenta Reeder. Allo stesso tempo, proprio come accade nella chiesa sulla sedicesima, anche Reeder confessa di parlare con i propri fedeli delle tematiche che la comunita' di Briarwood ritiene importanti. "Crediamo nella santita' della vita, che comincia al momento del concepimento, e che deve essere protetta. Cosi' come crediamo nella santita' del matrimonio quale l'unione tra un uomo e una donna," dichiara il Reverendo.
Briarwood ha al suo interno una serie di congregazioni etniche, create per coloro che preferiscono pregare nelle loro lingue madri. Gli afro-americani pero' sono davvero pochi: "Stiamo diventando piu' diversi ma non quanto mi piacerebbe. Gli afro-americani costituiscono forse il 10% della congregazione," racconta il Reverendo Reeder.
Il militantismo avanzato da Briarwood diventa presto visibile. Alla fine della messa, mentre non e' semplice riuscire a parlare con i parrochiani regolari, si viene immediatamente circondati da tutti coloro che sono direttamente coinvolti nelle attivita' della chiesa e che sono piu' che contenti di offrire la propria opinione. Il missionario Stan Goebel, un motociclista appassionato di Valentino Rossi e che e' venuto a messa con il casco e i pantaloni di pelle, dice che gli piace Briarwood perche' e' una chiesa in cui uno si sente protetto e al contempo incoraggiato. Goebel ha 55 anni e non e' mai stato sposato. Ha cominciato le sue attivita' di proselitismo nel 1979. Di questi tempi vede l'impatto della crisi economica sui quartieri poveri che frequenta durante il giorno, e persino sul gruppo degli amici motocilisti, che "escono in moto molto meno spesso per via del prezzo della benzina." Goebel ammette di non aver seguito la campagna elettorale con attenzione: "In generale sono un tipo piu' da John McCain, per via delle mie convinzioni sull'aborto e sull'omosessualita," dice Goebel aggiugendo che gli piace molto Sarah Palin perche' e' una donna intelligente e con valori solidi.
Seduta con i suoi tre bambini una panchina piu' in la', Jacklynn Gothard, trentatreenne originaria del Mississippi, e' anch'essa una fan di Palin. Infermiera al Brookwood Medical Center la signora Gothard e' spostata con un pastore che e' stato trasferito a Briarwood da Chicago di recente. "Votero' e votero' repubblicano," dichiara convinta. Poi spiega che il suo sara' piu' che altro un voto contro Barack Obama, di cui dice di non fidarsi per niente. Come tanti americani, anche Jacklynn e' preoccupata per l'economia. E come tanti altri cittadini di questa citta' spalmata su un territorio molto esteso e in cui bisogna utilizzare la macchina per andare ovunque, la signora Gothering dice di aver cominciato ad organizzare le attivita' di famiglia diversamente, cosi' da radunare piu' viaggi i uno e risparmiare sulla benzina. Di conseguenza, votera' sulla base di problematiche quali l'energia. Una cristiana conservatrice, Jacklynn Gothard votera' anche sulla base delle proprie convinzioni quanto a aborto e matrimonio. Alla domanda, "Che cosa speri per i tuoi figli?", la signora Gothard dichiara: "Voglio che si ritorni a valori piu' tradizionali e a un mondo piu' semplice, in cui si capisca meglio dove sta il bene e dove sta il male."

Palin e' in grado di fare il vice?

Paducah, Kentucky - Bill Rayburn e' arrivato in questa piccola cittadina posta alla convergenza dei fiumi Ohio e Tennessee quando aveva 19 anni, e con solo 19 dollari in tasca. 5 dollari andarono subito per l'affitto di una stanza in cui dormire: "Eravamo in 11 fratelli e mio padre era l'ubriacone del paese," rammenta Rayburn. Cinquantatre anni piu' tardi Rayburn e' il proprietario di un negozio di rivendita d'oggetti d'oro e preziosi su Broadway, nel cuore del centro storico di Paducah. Rayburn sostiene anche di essere un milionario: "Ho fatto i soldi con la borsa," spiega, aggiungendo che i suoi investimenti sono ancora al sicuro nonostante il crollo di Wall Street. Rayburn avrebbe messo i suoi dollari nelle azioni di una banca regionale che ha politiche di prestito conservatrici. Questa strategia lo avrebbe protetto dal precipitare del Dow Jones.
Oltre che azioni, Bill Rayburn ama collezionare anche adesivi, poster e spillette delle campagne elettorali sia locali che nazionali del Partito Democratico. Ce ne sono in ogni angolo del negozio. "Ero un fan di Hillary," confessa Rayburn, "pero' votero' per Obama anche se dovro' tapparmi il naso." Secondo lui, Obama non ha abbastanza esperienza in politica estera per diventare presidente. E infatti a Rayburn piace molto Joe Biden e sarebbe piu' soddisfatto se il team Obama/Biden fosse invertito e diventasse Biden/Obama.
Bill Rayburn si prepara a guardare il dibattito tra i due candidati alla vice-presidenza giovedi' sera. Anche se ha aspettative molto limitate per quanto riguarda la performance della repubblicana Sarah Palin. Rayburn e' convinto che, alla fine dei conti, la Palin finira' con il danneggiare la candidatura di John McCain: "Prima che sia tutto concluso, McCain rimpiangera' di non aver scelto qualcun'altro." Rayburn e' preoccupato dalla mancanza di esperienza di Palin in politica estera e dice che il Governatore dell'Alaska "sembrava un po' come una scolaretta delle elementari che non sa nulla," durante l'intervista con Katie Couric del network CBS.
A Paducah, una cittadina tendenzialmente conservatrice, sono in pochi a condividere l'opinione di Bill Rayburn. Wayne Roberts fa il cameriere in un ristorante locale, che si trova affianco al lungo-fiume. Roberts dice che votera' per John McCain nonostante sia registrato come democratico -- va detto che l'ultimo candidato democratico alla presidenza per cui dice di aver votato e' stato Jimmy Carter nel 1976. Quest'anno Roberts e' stato convinto dalle posizioni anti-abortiste di McCain e Palin: "Io sono assolutamente contrario all'aborto," dichiara. Naturalmente, Roberts ama Sarah Palin, in particolare per il suo atteggiamento diretto: "Se riesce a fare per il paese quello che ha fatto per l'Alaska, beh, sarebbe meraviglioso," sostiene mentre spiega come mai non sia preoccupato della mancanza di esperienza di Palin.
"Sarah e' proprio il mio genere di donna," fa eco Marcia C. una bancaria in pensione. "E' conservatrice, ha una bella famiglia con molti figli e le piacciono le attivita' all'aperto; e' proprio come me," dichiara con entusiasmo. Anch'essa registrata da democratica, Marcia C. condivide valori conservatori ed e' spesso attratta dai candidati repubblicani per questa ragione. Dice, inoltre, di non preoccuparsi per la mancanza di esperienza di Palin perche' tanto, in fin dei conti, il Congresso, di cui Marcia C. ha un'opinione estremamente negativa, ha piu' potere della Casa Bianca.
La cosa interessante e' che anche i democratici veri e propri non paiono essere troppo preoccupati dal personaggio Palin, almeno in stati come il Tennesse e il Kentucky che, va detto, sono generalmente moderati o di destra. Ad esempio Cleopatra Lewis, impiegata di un hotel di Nashville, mostra molta piu' pazienza verso Palin di quella che ci si attenderebbe da una sostenitrice convinta di Obama. "Non so se abbia sufficiente esperienza, secondo me non lo sapremo fin che non si trova nella posizione di doverlo dimostrare," dice Lewis. Una donna di trentanni e afro-americana, Lewis rimane comunque per Obama: "Spero solo che il mio voto venga contato e che Barack ce la faccia." Divorziata giovanissima e madre di due bimbi, Cleopatra Lewis ritiene che i media abbiano esagerato nel parlare della famiglia di Palin: "Quelle sono cose personali e non dovrebbero essere importanti."
Gli elettori del Kentucky e del Tennessee non sembrano dunque troppo inquieti della scelta di Palin come candidato repubblicano alla vice-presidenza. Perlomeno nella cosidetta Bible belt, tranne i democratici attivi e molto ben informati, la gente ha opinioni positive, neutre al peggio, del Governatore dell'Alaska.

mercoledì 1 ottobre 2008

Il giorno del Signore -- parte prima

Birmingham, Alabama -- In preparazione al dibattito di giovedi' sera che vedra' opposti Joe Biden e Sarah Palin, una donna che fa delle proprie convinzioni religiose un punto chiave della propria candidatura, ho visitato due tra le piu' importanti chiese di Birmingham, e molto diverse tra loro. Questa la prima parte:

E' una calda domenica meridionale a Birmingham e il centro citta' e' deserto. Ai piedi dei grattacieli del distretto degli affari, gruppetti di gente si trascinano lentamente per le strade vuote e si infilano in silenzio nella porta secondaria della chiesa battista di 16th Street. Un edificio di mattoni color ocra marcato da un'insegna al neon degli anni sessanta, la chiesa si erge al centro di un quartiere di concessionarie d'automobili, pompe di benzine e officine di meccanici, e di sacchetti di plastica portati in giro dal vento caldo che spazza i marciapiedi pieni di buche. Gli esercizi commerciali sono tutti chiusi nel rispetto del giorno del Signore, che da queste parti e' dedicato esclusivamente alla preghiera. Solo l'Istituto per i Diritti Civili, di fronte alla chiesa, e' aperto ai visitatori, un museo che ripercorre le lotte che hanno travolto Birmingham negli anni sessanta e che hanno portato all'abolizione del sistema razzista di segregazione.
Al contrario dell'esterno addormentato, lo scantinato della chiesa di 16th Street e' un tutt'un brulicare di attivita'. I parrocchiani stanno concludendo le due ore di catechismo della domenica mattina e si preparano per la Messa. Bambine vestite in eleganti abiti estivi di taffeta escono dalle loro classi e si fermano a chiacchierare con i fratelli, bambinetti in giacca e cravatta. Dalla classe di educazione musicale escono le melodie del coro che fa le prove. Gruppi di donne abbigliate con grande cura si intrattengono sul pavimento di linoleum e si fanno reciprocamente i complimenti per gli abiti che indossano: "Che belle scarpe," dice una, "sono davvero graziose, dove le hai comprate?" Una coppia di signori anziani chiacchiera seduta su un divano in finta pelle in stile anni settanta, mentre una fila di notabili locali li osserva dalle fotografie incorniciate sulla parete.
La chiesa di 16th Street e' un pilastro culturale e storico dell'Alabama afro-americana: il 15 settembre 1963, nel mezzo della lotta per i diritti civili, una bomba esplose all'esterno della chiesa uccidendo quattro bimbe. Martin Luther King parlo' a un pubblico di 8000 persone al funerale che segui'. Joan Baez registro' la canzone "Birmingham Sunday" per raccontare la tragedia. E, nel 1997, il regista Spike Lee ha diretto un documentario sull'attacco a sfondo razzista dal titolo "4 Little Girls". Non deve quindi sorprendere che questa congregazione si senta molto orgogliosa della storia della chiesa: "Sono membro da quando ero bambino," dice Marvin Hicks, quarantatreenne nato a Birmingham e che da tre anni si e' trasferito un'ora a sud della citta', nel paese di Jemison. Il signor Hicks continua a guidare gli oltre sessanta chilometri per venire a messa qui almeno un paio di volte al mese: "Questo posto ha una storia importante e della musica eccezionale," Hicks commenta. La Messa non delude le aspettative.
Quattro donne vestite di nero e di bianco aprono la cerimonia cantando sulle note di musica Cristiana dai toni blues. La profondita' delle voci e' impressionante. I convenuti si alzano dalle panchine rivestite di velluto rosso e partecipano al canto. Alcuni, trascinati dalla musica, danzano. Una delle quattro cantanti comincia a tremare in maniera violenta. Una giovane che avra' poco piu' di ventanni, sembra posseduta. Le convulsioni ipnotiche continuano fino a quando la donna non sviene sulla panchina in prima fila. Un uomo le si avvicina e cerca di rianimarla facendole aria con un ventaglio. La medesima scena si ripete qualche minuto piu' tardi, quando la giovane cantante ha raggiunto il coro dietro il pulpito.
Il Pastore Arthur Price Jr. comincia l'omelia e chiede ai congregati di pregare per coloro che sono malati, per il paese, per la citta' e per queste elezioni presidenziali. "Andate a registrarvi al voto," intima il Reverendo, "Non potete essere membri della chiesa sulla sedicesima se non siete registrati: troppe persone prima di noi hanno pagato un prezzo indicibile perche' noi potessimo godere di questo privilegio." In una domenica in cui trentatre pastori in varie citta americane hanno deciso di rendere ufficiale il nome del proprio candidato preferito durante la Messa, una violazione dello statuto fiscale delle chiese -- che non pagano tasse, ma che non possono fare politica --, questo e' l'unico riferimento del Reverendo Price alla campagna elettorale in corso. Per il resto il sermone si concentra sul concetto di dolore, e il Pastore chiede ai suoi parrocchiani di accettarlo come una parte integrante della vita di tutti.
"In questa chiesa ci sono repubblicani, democratici e indipendenti. Non posso certo essere io a dirgli per chi votare," dice Price, originario di Philadelphia arrivato a Birmingham sei anni fa' da una chiesa di Buffalo, nello stato di New York. Il Reverendo e' certo che questa elezione avra' un risultato storico, indipendentemente da chi vince: "Come pastore di una congregazione che e' prevalentemente afro-americana, sono naturalmente orgoglioso del fatto che i democratici abbiano nominato il primo candidato afro-americano alla Casa Bianca. Ma sono anche molto soddisfatto all'idea che il prossimo vice-presidente degli Stati Uniti potrebbe essere una donna."
Il Reverendo Price racconta che 16th Street Church conta tra i cinque e i dieci membri non di colore, in una congregazione di oltre trecento. Oggi non pare esserne venuto nessuno. I suoi fedeli, dice Price, presentano una varieta' di profili socio-economici, dal senza-tetto al cardiologo. Nonostante la chiesa mantenga una posizione rigidamente indipendentemente dai partiti, il Reverendo Price confessa di parlare spesso ai propri parrocchiani delle problematiche sentite come piu' importanti nella comunita', per discuterne sulla base dei principi cristiani. "Parliamo soprattutto di economia e societa', di emarginazione sociale, di disoccupazione, del diritto dei poveri alla casa. Parliamo anche della guerra in Iraq," commenta il Reverendo. L'odierna crisi economica ha gia' cominciato a colpire questo vicinato e Price sta notando che la gente viene in chiesa con meno frequenza e che le donazioni sono diminuite.
Marvin Hicks e' tra coloro che stanno soffrendo della crisi. In particolare, il rialzo del prezzo della benzina rappresenta un peso difficile da sopportare per il signor Hicks: "lavoro come camionista, e vado in giro per tutta l'Alabama. Ultimamente devo far fronte a una spesa per la benzina di circa 600 dollari al mese." La societa' che impiega Hicks gli paga uno stipendio su base oraria, gli offre l'assicurazione sanitaria, ma non copre il costo della benzina che Hicks deve sborsare di tasca propria. Sposato con una ragioniera e padre di tre bimbi, Hicks e' un sostenitore di Obama: "Voglio vedere un cambiamento e quindi voto Obama," dichiara.
"La situazione economica e' preoccupante, ma ancora non ne ho sofferto in maniera diretta," dice Valisa Brown, una ricercatrice nel campo medico all'Universita' dell'Alabama a Birmingham (UAB). La signora Brown e' membro della chiesa di 16th Street da circa dieci anni e oggi, come ogni domenica, e' qui con il marito, vice-preside di una scuola superiore locale, e con i loro due bimbi di cinque e tre anni. "Ho trovato questa chiesa come capita a molti: sono venuta a visitarla da turista e il Pastore mi e' piaciuto," spiega la signora Brown.
Valisa Brown confessa di essere molto impaziente per il risultato di questa elezione e dice che, se non avesse avuto i due figli, sarebbe andata a Denver con il marito per la convention del partito democratico: "Se vince Barack, i miei bambini cresceranno conoscendo un paese in cui un uomo che ha il loro stesso colore e' Presidente."
La signora Brown e' cresciuta con i nonni in un paese rurale a ovest di Birmingham, che viveva dell'industra della deforestazione e di una fabbrica di abbigliamento che chiuse quando lei era alle superiori. Il nonno lavorava in una compagnia che produceva oggetti in carta mentre la nonna puliva le case dei vicini. Dopo essersi diplomata nel 1988, la signora Brown si e' guadagnata delle borse di studio che le hanno permesso di completare una laurea all'Universita' dell'Alabama a Tuscaloosa e un Master in Salute Pubblica a UAB. "Spero che i miei bambini crescano sapendo che c'e' vita al di fuori dell'Alabama, un mondo intero. Che si rendano conto che hanno opportunita' illimate, che possono fare quello che vogliono e diventare quello che vogliono," dichiara la signora Brown.
Vissuta per gran parte dell'infanzia in una comunita' devastata dalla poverta', sia per la gente di colore che per i bianchi, Valisa Brown dice di non ricordarsi tensioni razziali eccessive. Si rammenta pero' del giorno in cui il nonno ricevette nella posta un volantino elettorale del Klux Klux Klan che sosteneva un candidato in un'elezione locale. "Il razzismo c'e' sempre," pensa la signora Brown. E racconta di quando, tutt'oggi, entra in un negozio di scarpe per fare shopping e gli altri clienti presumono automaticamente che sia una commessa. "Ho una borsa sulla spalla da 200 dollari, come gli verra' poi in mente che sono la commessa?" dice scherzando. Piu' che per la strada, sul lavoro o a scuola, e' proprio nelle chiese che la signora Brown vede la separazione razziale piu' radicata: "Hanno sempre detto che il momento piu' segregato della settimana e' la domenica," conclude prima di andare a pranzo con la famiglia.
Considerata la mia visita all'altra chiesa di Birmingham mi viene da pensare che Valisa Brown abbia proprio ragione.

Alla prossima puntata...

martedì 30 settembre 2008

La crisi economica e' importante ma non dimentichiamoci delle tradizioni elettorali

Nashville, Tennessee. Mi sveglio con il Presidente Bush che parla alla nazione, e al mondo, alle 7,45 del mattino. Penso nessuno l'abbia mai visto al lavoro cosi' presto negli ultimi otto anni. Prima dell'apertura di Wall Street, Bush cerca di rassicurare gli investitori di tutto il pianeta sul fatto che il governo americano interverra' sui mercati al piu' presto, nonostante la bocciatura del piano Paulson avvenuta ieri al Congresso. In sostanza, Bush prega gli investitori di continuare a scambiare su Wall Street, sperando di evitare un crollo del Dow Jones come quello di lunedi'.
"Bisogna che il governo faccia qualcosa," dice Marcia Garner mentre fa colazione nell'atrio dell'albergo. Marcia abita circa a 150 miglia a nord di qui, in Kentucky, ed e' rientrata ieri sera da un viaggio organizzato in Svizzera e nel nord dell'Italia. Bionda tinta, decisamente sovrappeso, e abbigliata in una tuta azzurrina misto rosa, Marcia Garner e' un'insegnante in pensione che oggi gestisce con il marito le proprieta' di famiglia: una fattoria e degli immobili dati in affitto. A novembre votera' repubblicano. Di Barack Obama non le piace la politica in fatto di tasse di successione -- Obama ha promesso di ristabilire un'aliquota sulle proprieta' che passano agli eredi entro il 2012. "Ho lavorato duro tutta la vita per poter acquistare le proprieta' che posseggo e vorrei che queste proprieta' vadano a mio figlio e non al governo," sostiene Marcia. Ritengo inaccettabile che mio figlio debba vendere la fattoria del nonno per via delle imposte.
A Marcia piace anche Sarah Palin, perche' rappresenta "quell'energia grezza che e' la vera forza dell'America, quel tipo di indipendenza e forza della gente dell'Alaska." Fra l'altro Marcia e' preoccupata che McCain muoia prima della fine del primo mandato e la rassicura l'idea di avere qualcuno giovane che possa prendere il suo posto. Di Palin le piace anche che abbia ridato energia agli elettori religiosi, perche' potrebbe significare vittoria per McCain.
Nonostante la posizione sulla campagna elettorale in corso, Marcia non e' affatto una repubblicana di lunga data. E nemmeno una di coloro che ama Palin per via delle posizioni del Governatore dell'Alaska in fatto di aborto: "Beh non credo sia una cosa bella, pero' non posso dire di essere completamente contraria all'aborto," confessa Marcia.
La sua strategia elettorale e' piuttosto astuta. Marcia Garner, che ha vissuto e lavorato in Oklahoma e Tennessee prima di rientrare in Kentucky, e' stata a lungo registrata come democratica, e anche quando si e' ri-registrata come repubblicana non ha sempre votato secondo le direttive del partito. In sostanza, Marcia si registra per il partito che normalmente vince nel luogo in cui lei risiede, cosicche' da poter partecipare alle primarie di partito, che diventano, in qualche modo, l'elezione piu' importante e quella in cui davvero si decide che verra' poi eletto. Nelle elezioni generali, Marcia poi sceglie a seconda dell'umore del momento.
Cio' che e' interessante e' che Marcia Garner, che votera' per il Partito Repubblicano a novembre, e' -- come per altro la gran parte di coloro incontrati fin qui -- per l'intervento governativo sui mercati, non perche' sia un progetto di cui entusiasmarsi, ma semplicemente perche' si deve: "Non sono una di quelle repubblicane che pensano che i mercati debbano fare tutto da soli." Rispetto quindi alla decisione della maggioranza dei Deputati di bocciare il piano Paulson, viene davvero da chiedersi che distretti elettorali rappresentino costoro e dunque a che tipo di elettore debbano rispondere. Un'analisi delle circoscrizioni dei deputati che hanno votato contro la trovate qui.
Una marcata differenza d'opinione tra repubblicani e democratici anche moderati riguarda le origini della crisi. Mentre per i democratici le radici del crollo di Wall Street vanno ricercate nella deregolamentazione che ha permesso a pochi di arricchirsi alle spalle dei piu', per i repubblicani l'attuale mancanza di liquidita' e credito e' da attribuirsi al fatto che il governo abbia incoraggiato le istituzioni di credito a prestare soldi a coloro che davvero non avrebbero dovuto ricevere alcun mutuo. E cosi' si sarebbe sviluppata la crisi dei subprime. Anche Marcia Garner e' d'accordo.
Per cercare di capire quello che succedera' a novembre comunque, al di la' della crisi finanziaria, dell'economia che rallenta, della guerra in Iraq e della minaccia nucleare posta dall'Iran, bisogna ricordarsi delle tradizioni politiche e elettorali di questo paese, che rimangono ben radicate, e centrate soprattutto sulle differenze economiche e razziali. Marcia Garner mi racconta del suo viaggio in Svizzera: "Sul pullman su cui viaggiavamo eravamo tutti bianchi, benestanti, anziani, e americani. Per passare il tempo abbiamo simulato le elezioni. McCain ha vinto 31 voti a 11. Proprio come mi aspettavo, considerato chi c'era sul pullman."

lunedì 29 settembre 2008

Le foto da Oxford


Ecco gli americani del sud riuniti sul Grove dell'Universita' del Mississippi per guardare assieme il primo dibattito presidenziale tra John McCain e Barack Obama.

Tradizione e cambiamento a Oxford

Oxford, MS - Una lunga fila di gente attende davanti allo stand di Taylor Grocery, in un'attesa impaziente per il proprio piatto di fish&chips. Taylor Grocery e' un piccolo ristorante conosciuto sia dai residenti di Oxford che dai turisti di passaggio, e uno degli esercizi commerciali che ha aperto bottega sul Grove per dar da mangiare al migliaio di persone che si sono ritrovate qui venerdi' per assistere al primo dibattito presidenziale tra John McCain e Barack Obama. Mentre i due candidati alla Casa Bianca si sfidavano a duello dentro il Ford Center for Performing Arts, l'Universita' del Mississippi ha organizzato due grandi schermi ed un palcoscenico in questo giardino al centro del campus univeristario. Una serie di gruppi locali suonano pezzi dalla tradizione rock americana nelle ore precedenti al dibattito.
Courtney L., una ragazza di diciassette anni che non puo' nemmeno votare, indossa una maglietta con scritto: "No al socialismo, no al comunismo, no a Obama." E' venuta questa sera perche' e' convinta che il paese stia attraversando il suo momento piu' difficile dai tempi della Grande Depressione e e' preoccupata che la gente non si renda conto della gravita' della situatione. "Vorrei davvero poter votare," sospira Courney, che e' la piu' piccola di quattro fratelli, figli della classe media, e bianca, di Oxford. Se potesse, darebbe il suo voto a McCain, perche' condivide le posizioni del Senatore quanto a aborto, immigrazione e economia.
Qualche metro piu' in la', Tonya Redmond chiacchiera con un gruppo di amici. Una afro-americana di 35 anni, insegnante d'asilo, Tonya indossa una maglietta di Obama for America e dice che "e' tempo di cambiamento." Tonya racconta di non poterne piu' del fatto che i finanziamenti per l'istruzione pubblica siano cosi' esigui, vuole che gli Stati Uniti imparino a vivere nel rispetto e non al di sopra dei propri mezzi. E pensa che Obama rappresenti l'immagine di cambiamento di cui c'e' bisogno. La preoccupazione piu' grande per Tonya e' l'economia: con il marito sta cercando di acquistare la prima casa, per se e per i due figli piccoli. "E' diventato davvero difficile, con la crisi finanziaria si fa fatica a farsi fare un prestito," racconta Tonya. Di politica estera, il tema del dibattito di questa sera, Tonya non si interessa troppo. "Penso semplicemente che se risolviamo i nostri problemi qui negli Stati Uniti anche il resto si mettera' a posto," dice.
Non ci vuole un particolare senso d'osservazione per notare che, a Oxford, le divisioni politiche riflettono le differenze razziali. Nonostante la maggior parte della gente dia soltanto risposte evasive in merito, Tonya Redmond non ha problemi a ammettere che considerazioni razziali hanno un ruolo nella sua decisione di sostenere Obama: "Mi piace perche' sono d'accordo con le sue posizioni, ma anche perche' e' nero; cinquanta-cinquanta direi."
Non lontano, Melissa Harwell siede su una comoda poltrona pieghevole da campeggio affianco al marito Ricky. Sono silenziosi mentre guardano i giovani musicisti sul palco. Appoggiato alle gambe di Melissa e' un cartello che dice: "Sarah Palin e' una volpe." Gli Harwell sono originariamente di questa parte del Mississippi e sono ora in pensione. Melissa faceva la fioraia mentre Ricky lavorava per la guardia forestale dello stato. Sono bianchi. "Sarah e' davvero una volpe," sostiene Melissa, "e' intelligente e riesce con successo a dedicarsi sia alla sua famiglia che alla sua carriera, e ora persino a questa nuova sfida politica." La signora Harwell ammira molto anche John McCain, in particolare il suo passato da veterano. "Io ho studiato in questa universita'. Mi ricordo, da studentessa, il giorno in cui guardammo in televisione il ritorno dei prigionieri di guerra dal Vietnam. Mi ricordo John McCain che scendeva dall'aereo zoppicante," dice con un tocco di commozione. Nonostante sia soddisfatta che McCain e Palin condividano una posizione contraria all'aborto, cio' che davvero la convince e' la politica estera. "Ho un figlio nei militari," racconta Melissa. "Sicuramente preferirei non mandare nessuno in guerra, pero' so anche che ci sono momenti in cui e' importante difendere il proprio paese," spiega citando il fatto che il figlio ha gia' fatto un turno in Iraq. Per questa ragione, si sente piu' tranquilla all'idea che ci sia McCain alla Casa Bianca.
Dopo ulteriore indagare, comincia a emergere che a Oxford le divisioni politiche tra i neri e i bianchi non hanno solo, e direttamente, a che vedere con la lotta fra i democratici e i repubblicani. Bensi' il disaccordo parte dalla diversa valutazione di quali siano le problematiche piu' importanti. Mentre gli afro-americani al Grove sono preoccupati per l'economia, i bianchi pensano al terrorismo e alla sicurezza nazionale.
Felicia Butts e' arrivata a Oxford dalla natia Sardis, un paese quaranta chilometri verso ovest. Per arrivare questa sera e' saltata su un pullman organizzato da un sindacato. Felicia pero' non vi appartiene. Una ventinovenne di colore con due figli, Felicia lavora per un studio di ragionieri a Memphis in Tennessee. Fidanzata con un barbiere, Felicia ritiene che l'economia debba essere la priorita' del prossimo presidente e confessa di sentire gia' gli effetti della crisi sulla propria vita quotidiana. "Fino a non troppo tempo fa' mi consideravo appartenente alla classe media. Ma non piu'. Ora sono povera," sostiene Felicia. In particolare l'aumento del prezzo della benzina sta avendo un effetto negativo sul suo tenore di vita: "Di certo non vado piu' fuori molto, e cerco di non comprare vestiti. E poi non mi posso permettere l'assicurazione sanitaria." La politica estera Felicia non sa nemmeno cosa sia: "So che ha a che vedere con il resto del mondo e la guerra, pero' non seguo," dice, "Ma io sono piu' interessata ai poveri qui negli Stati Uniti."
"Mio nipote ha l'eta' giusta per essere militare di leva e John McCain sa cosa significa mandare dei ragazzi in guerra," e' invece convinta Lynn Wall Sykes, una consulente di piccole imprese locali. Una donna bianca sulla sessantina, la signora Sykes pensa che l'America abbia bisogno di un leader e non di uno che "e' venuto fuori dal nulla." Non solo Lynn ritiene importante che John McCain abbia molti anni d'esperienza alle spalle, ma pare anche soddisfatta delle capacita' di Sarah Palin: "Io l'adoro," dichiara Lynn spiegando come Palin governi l'Alaska con successo e come sia gia' stata esposta alle problematiche che riguardano la Russia e le isole del pacifico.
Le divisioni su base razziale in Mississippi sono ancora vive, in particolare a causa del gap economico che esiste tra bianchi e neri e delle diverse visioni del mondo che ne conseguono. Va detto che, a parere di alcuni di coloro con cui ho parlato e in particolare del Professor Robert Mongue, un miglioramento, seppur lento, esiste. E non va ignorato. In fondo, se ricordate, avevo persino incontrato una bella signora bionda e benestante, Ann Marshall, che pur avendo sempre votato repubblicano sta seriamente considerando la possibilita' di cambiare partito proprio nell'anno in cui il candidato democratico e' un afro-americano.


Le foto di Big John's Shake Shack




sabato 27 settembre 2008

L'America in miniatura nella terra di Re Elvis

Marion, Arkansas - Big John's Shake Shack, che ha in menu ventiquattro gusti diversi di frappe', e' uno dei pilastri della vita sociale a Marion, un paese di 11.000 abitanti nel sud est dell'Arkansas. Questo ristorante a gestione familiare, che si trova affianco alla superstrada I-55, e' anche' un microcosmo culturale dell'America, piantato nel cuore della terra di Elvis Presley. Memphis e' subito al di la' del Mississippi, a poche miglia di distanza, e Marion e', essenzialmente, un subborgo della citta' che un tempo fu di The King. "Ho aperto questo ristorante nel 1977, l'anno in cui mori' Elvis", dice la proprietaria Loretta Tacker indicando un poster appeso alla parete che fa pubblicita' a un concerto previsto per il 21 agosto 1977 a Hartford nel Connecticut. "Elvis non l'ha mai fatto quel concerto, perche' fu trovato morto il 16 agosto," ricorda Loretta. Assieme al marito John, la signora Tacker inauguro' questo posto appena finita l'universita'. I due si erano conosciuti frequentando lo stesso college cristiano, Harding University a Searcy in Arkansas. Dopo la laurea, Loretta, originaria dell'Illinois, segui' il marito nel suo paese natale di Marion. Bigh John, a cui e' dedicato il locale cosi' come un hamburger di nuova creazione, e' morto tre anni fa' e un collage di foto in cornice appeso al muro opposto a quello del poster di Elvis ne celebra la memoria.
All'ora di pranzo Big John e' un continuo via vai di clienti e Loretta, la figlia Lisa e le altre due cameriere sono indaffaratissime a servire la specialita' del locale, il pesce fritto. Seduto su una panchina di plastica gialla a uno dei tavoli del ristorante, Timothy Taylor ha finito di mangiare e ora legge intento il giornale locale. "Sono completamente depresso e disgustato da questa campagna elettorale," sospira Timothy, "ne' Obama ne' McCain sono la persona giusta." Sulla trentina, Timothy lavora nel settore informatico, e' impiegato dal distretto scolastico di Marion, ed e' uno tra i sostenitori arrabbiati di Hillary Clinton, seppur maschio. "Sono nato nel 1971. Bill Clinton ha cominciato a essere conosciuto nella politica dell'Arkansas nel 1974," ricorda Timothy nel tentativo di evidenziare quale influenza abbiano avuto i Clinton nella sua educazione politica. "In questo stato c'è praticamente un culto per Bill, la gente lo ama per quello che ha fatto, per come ha cambiato le nostre vite," sostiene Timothy. Figlio di un impiegato delle ferrovie e di un infermiere, Timothy Taylor e' convinto che la popolarita' di Bill si estenda automaticamente anche alla moglie Hillary: "Se Hillary fosse candidata, l'Arkansas sarebbe tutto blu [democratico]" Cosa che invece non e' affatto vera oggi. Secondo gli ultimi sondaggi dello stato, John McCain e' in vantaggio su Barack Obama con il 51% delle preferenze contro il 42%.
Timothy pensa che Obama non abbia l'esperienza per diventare presidente, ma non gli piace nemmeno McCain. "Avra' anche molta esperienza, ma non sopporto le sue politiche sociali, le sue posizioni in fatto di aborto e diritti degli omosessuali," dichiara Timothy. Dei due candidati alla vice-presidenza, da' un parere completamente opposto, ma altrettanto negativo: "A livello strategico credo che scegliere Sarah Palin sia stata una mossa brillante da parte dei repubblicani, perche' li puo' aiutare con i sostenitori di Hillary e perche' ha rientusiasmato gli evangelici che altrimenti non sarebbero andati a votare." Nonostante questo, a Timothy la Palin non piace: e' preoccupato della sua mancanza d'esperienza e avrebbe voluto vedere approfonditi i legami del marito Todd con il partito indipendentista dell'Alaska. Per quanto riguarda i democratici, Timothy pensa che sia stato "completamente stupido non scegliere Hillary. A suo parere Joe Biden ha esperienza ma e' noioso e non aggiunge nulla dal punto di vista strategico. In conclusione, Timothy Taylor, da sempre elettore democratico, votera' per Bob Barr, candidato del Libertarian Party. Pero' ci tiene a sottolineare che non si tratta tanto di un voto per Barr, "quanto di un voto contro Obama."
Piccolo proprietario di casa e single, Timothy e' preoccupato per la situazione economica e stupefatto del crollo di Wall Street e della proposta di intervento governativo da 700 miliardi. "Ho sempre creduto nel governo e nell'importanza del pagare le tasse per sostenere il sistema," dice Timothy, "ma questo caos mi sta facendo cambiare idea." Timothy e' particolarmente infastidito all'idea che qualcuno abbia approfittato della crisi finanziaria per arricchirsi ed e' frustrato dal fatto che nessuno a Washington, ne' repubblicani ne' democratici, sembri voler punire questa gente. "Voglio vedere delle azioni concrete contro coloro che hanno fatto i soldi mentre la gente perdeva la casa durante la vicenda dei mutui subprime," si arrabbia Timothy.
Nonostante personalmente non sia ancora stato colpito dalla crisi, in quanto dipendente pubblico e' piu' protetto, Timothy Taylor pensa che il peggio debba ancora arrivare. Racconta che i genitori di Marion, quest'anno stanno facendo fatica a comprare i quaderni e le penne per i figli e che i costi delle assicurazioni sanitarie sono impazziti. Nel suo caso, ad esempio, il governo dello stato versa 131 dollari al mese per la copertura delle spese mediche, mentre Timothy deve contribuire il resto. Fino ad oggi questo ha significato 68 dollari al mese, che pero' dal primo ottobre diventeranno 98. "E perf ortuna che ho solo una polizza individuale. Se ne avessi una familiare potrei arrivare a pagare fino a 1000 dollari al mese," sostiene Timothy. Ma c'è molto altro oltre l'economia di cui preoccuparsi secondo Timothy Taylor. Dice di essere "terrorizzato a morte dalla situazione in Medio-Oriente", e descrive l'Iran come "una bomba a orologeria". Infine, spera che il prossimo presidente possa riparare almeno un po' l'immagine degli Stati Uniti all'estero, cosi' danneggiata dall'Amministrazione Bush.
Anche l'investigatore privato Mike Morgan, che siede con qualche amico vicino a una parete dipinta di un effige di Elvis a misura d'uomo, si dice preoccupato per la situazione in Medio-Oriente, anche se la descrive in termini differenti: "Io temo il terrorismo e questi estremisti arabi/musulmani," borbotta Mke. E' convinto che gli Iraniani stiano per entrare in possesso delle armi nucleari e che vogliano usarle contro gli Stati Uniti. "Detestano l'America," pensa Mike. Da un lato, Mike Morgan riflette che le relazioni degli Stati Uniti con gran parte del resto del mondo sono di questi tempi problematiche perche' gli Stati Uniti hanno questa tendenza a fare da poliziotto per tutto il pianeta, compito che non gli spetterebbe di diritto. Dall'altro, Mike e' comunque persuaso che sia importante avere una presenza militare anche all'estero per proteggere la sicurezza di questo paese.
Mike Morgan si auto-descrive come un indipendente e professa di non essere mai stato fedele a nessuno dei due partiti. A novembre Mike votera' per McCain, convinto dalla scelta di Sarah Palin come candidato alla vice-presidenza: "Penso che sia una persona che dice le cose come stanno. Mi sembra che si relazioni bene alla gente comune," dice Mike per poi aggiungere che si trova d'accordo anche con le convinzioni sociali di Palin. Per altro, Mike non e' preoccupato dell'inesperienza del Governatore dell'Alaska e cita il fatto che anche i presidenti Carter, Reagan e Bush erano governatori prima di essere eletti alla Casa Bianca. Sebbene Mike consideri Obama un uomo di grande intelligenza, non si sente di fidarsi del Senatore dell'Illinois: "Non penso che dica quello che davvero sente." Inoltre, Mike accusa Obama di razzismo, riferendosi in particolare al rapporto molto criticato di Obama con il Reverendo Jeremiah Wright, che Obama ha finito per abbandonare, e all'affermazione fatta da Michelle Obama qualche mese fa che si sarebbe sentita per la prima volta quest'anno orgogliosa dell'America.
Sulla sessantina, gentile ma abrasivo (Mike Morgan aveva attaccato bottone mentre facevo foto all'interno di Big John's per chiedermi se per caso fossi una terrorista che prendeva informazioni con l'idea di fare esplodere il locale in seguito), padre di tre figli adulti e marito di una casalinga, Mike e' come tutti preoccupato dall'economia: "La gente non ha piu' soldi," si lamenta. Si e' ormai lasciato convincere che l'intervento governativo su Wall Street sia necessario a questo punto, pero' guarda con sufficienza al tribolare politico che ha occupato Casa Bianca e Congresso negli ultimi giorni: "Si stanno comportando come i classici politici di Washington. Avrebbero dovuto cominciare a fare qualcosa in proposito molto tempo fa'."
L'unica che non pare troppo nervosa, almeno a livello personale, e' la proprietaria Loretta Tacker. Oggi Loretta indossa la camicia azzurra di quello che parrebbe un pigiama, con una fantasia di cuori rosa e schizzi del volto di Elvis Presley. "Gli affari vanno benissimo per noi," sostiene Loretta, "La gente comunque deve mangiare, anche quando l'economia va male." Il suo ristorante in stile anni cinquanta e ricoperto di oggettistica a tema Elvis ha una clientela di aficionados locali cosi' come di passanti in viaggio tra l'Arkansas e il Tennessee sulla I-55, che passa praticamente sopra Big John's. Loretta e' repubblicana da una vita e sembra soddisfatta di John McCain. Le piace anche il Presidente Bush, che secondo Loretta ha fatto tante cose importanti per il paese. Come cristiana conservatrice, Sarah Palin l'ha naturalmente conquistata: "E' davvero bella," dice Loretta sorridendo. La sua preoccupazione piu' grande e' la sicurezza nazionale e "i terroristi che cercano continuamente nuovi mezzi per attaccare l'America." Loretta si rende anche conto che, alla fine, l'economia potrebbe davvero colpire tutto il paese: "si fa fatica a crederci," commenta, "pero' potremmo finire con una nuova Grande Depressione."
Nonostante tutto, Loretta Tacker confessa di non seguire la politica da vicino. Big John's Shake Shack e' aperto dal lunedi' al giovedi dalle 7 del mattino alle 8 di sera e il venerdi' rimane aperto fino a tardi. Il sabato e la domenica, cosi' come il mercoledi' sera, Loretta va in chiesa: "Come vedi non mi rimane molto tempo per la politica," conclude prima di ritornare in cucina a friggere dell'altro pesce.

La cento contraddizioni del Mississippi

Oxford, Mississippi - "Dicono tutti che Sarah Palin è così bella, ma se volete incontrare belle donne venite a Oxford, Mississippi," mi ha detto l'unica democratica in un gruppo di cinque donne bionde del Sud che ho incontrato al termine del dibattito tra Obama e McCain. L'unica democratica e l'unica che non vuole essere citata per nome.
La politica del grande Sud americano è affare complicato e per nulla lineare, e l'incontro con questo gruppo di belle signore benestanti del Mississippi conferma le aspettative. Le tre repubblicane, Mary Garrett, Larke Landis e Ann Marshall, iniziano la loro chiacchierata raccontandomi della delusione che ha rappresentato per loro George W. Bush, dell'opposizione alla guerra in Iraq, del sostegno al diritto all'aborto, dei dubbi su Sarah Palin e infine lanciando aperture persino su una riforma sanitaria che aiuti i meno abbienti a avere accesso all'assistenza medica. Naturalmente confusa, ho chiesto conferma che fossero davvero repubblicane -- mentre l'amica democratica ridacchiava in sottofondo.
Mary e Larke annuiscono con decisione. Per Mary il problema è che Obama fa promesse eccessive e non riuscirà mai a portare a termine tutte le riforme che ha indicato nel suo programma elettorale: "Solo Dio potrebbe riuscire a fare tanto," mi ha detto Mary. McCain non viene visto in una luce particolarmente positiva e la domanda che si pone Mary è: "Come faranno a pagare per tutto quello che promettono? Tagliano la sicurezza sociale o le proprie guardie del corpo?"
Anche per Larke, né McCain né Obama sono prospettive allettanti e McCain è semplicemente il minore tra i due mali. La ragione è principalmente l'esperienza del Senatore dell'Arizona, in particolare in fatto di politica estera e sicurezza nazionale. Molti americani dicono di sentirsi più sicuri con McCain come comandante in capo che con Obama.
Ann, alla fine della nostra conversazione, confessa di essere molto indecisa. Di famiglia repubblicana ha un figlio che si è trasferito in California per lavorare nel settore dell'alta tecnologia, che è diventato democratico, e che la chiama tutti i giorni per convincerla a votare Obama. E lei pare incline a scegliere, per la prima volta nella vita, un candidato non repubblicano. La preoccupazione di Ann, che viene da una famiglia di medici, è che Obama nazionalizzi la sanità: "Se vai in quei posti in cui l'assistenza sanitaria e' pubblica, ti accorgi che nessuno vuole più fare il dottore perché gli stipendi dei medici sono troppo bassi. Ecco io non voglio rischiare di perdere la qualità dei nostri medici," mi ha detto Ann. Nonostante sia contraria all'idea di un sistema sanitario nazionale, appare in realtà aperta all'idea di una riforma che vada nella direzione di un'espansione del sistema, affinché anche coloro che non si possono permettere l'assicurazione privata vengano in qualche modo coperti. Dopo avermi confuso completamente le idee su cosa significhi essere repubblicani e cosa significhi essere democratici, Ann ammette di essere confusa lei stessa e spiega la politica del suo stato con la tradizione: "Quando ero bambina, se eri un bianco in Mississippi dovevi essere repubblicano. Tutti sono repubblicani."
E questa è anche la spiegazione di Bob Monge, il professore di giurisprudenza dell'Università del Mississippi che mi ospita per la notte. Bob si è trasferito appena un anno fa da Kennenbunk in Maine, residenza dell'ex Presidente George H.W. Bush e si sta inserendo nella piccola comunità conservatrice di Oxford. "Sono tutti repubblicani perché le loro mamme e i loro papà erano repubblicani," mi ha detto Bob dei suoi nuovi concittadini. "Però penso che le cose stiano pian piano cambiando e mi sorprendo spesso di quanto aperta e progressista possa essere la gente del Mississippi, in particolare su certe tematiche."
Una cosa è certa: la signora democratica con cui ho parlato giovedì sera ha ragione a dire che Oxford e' piena di belle ragazze. Sul Grove, il prato dove gli studenti e la gente del posto ha seguito il dibattito su un mega-schermo, c'erano tantissime biondine in abiti da cocktail che sorseggiavano alcolici malcelati in contenitori di plastica (è vietato consumare alcolici sul terreno dell'Università) Le famose Southern Belles.

Primo dibattito senza sorprese

Oxford, MS - Si è concluso da poche ore il primo dibattito presidenziale tra John McCain e Barack Obama. La battaglia si è risolta più o meno inpareggio e non ha offerto molte novità rispetto ai discorsi elettorali fatti dai candidati fino qui. Sia McCain che Obama hanno fatto un buon lavoro nel presentare e difendere le proprie posizioni, hanno evitato il più possibile di discutere direttamente l'uno con l'altro e si sono concentrati sulla ripetizione, talvolta ad-nauseam, delle proprie piattaforme politiche. Il dibattito è stato acceso e ha messo in mostra le differenze di sostanza e di stile che esistono fra i due. In particolare Obama e McCain si sono attaccati reciprocamente su economia, Iraq e Iran.
Ho seguito il dibattito dal Grove, a Oxford, il prato alberato che sta al centro del campus di University of Mississippi e a due passi dal Center for Performing Arts in cui si è tenuto il confronto. Qualche migliaio di persone si era radunata sul Grove fin dal primo pomeriggio per ascoltare i concerti dal vivo organizzati per intrattenere il pubblico durante l'attesa, e per mangiare le specialità del Mississippi, pesce fritto e the zuccherato.
La maggior parte dei presenti era di fede repubblicana e di razza bianca (il Mississippi è uno stato conservatore). Il contingente afro-americano era meno numeroso ma più organizzato e interamente per Obama. La bellezza del grande sud degli Stati Uniti, in cui le differenze razziali ancora contano, eccome. Tanti gli studenti, ma anche il resto della cittadinanza di Oxford. E anche qualche visitatore arrivato dagli stati vicini, Tennessee e Alabama, per l'occasione.
Nessuno è parso particolarmente colpito dal dibattito e le persone con cui ho parlato se ne sono andate dal Grove con la stessa opinione con cui erano arrivate, che si trattasse di sostenitori di Obama o McCain. Pochi hanno dichiarato di avere appreso qualcosa di nuovo questa sera.
Vi do appuntamento a domani per un reportage più approfondito degli umori e pensieri che ho incontrato fin qui nel mio viaggio per il Sud degli Stati Uniti.

giovedì 25 settembre 2008

La politica americana nel caos

St Louis, MO - Il dibattito si fa o non si fa? La proposta da 700 miliardi di dollari di Paulson passa o non passa? L'economia americana riesce a sopravvivere a questa crisi? John McCain sta mostrando di voler fermare il crollo finanziario o sta approfittando di questi momenti difficili per l'economia del paese per ragioni elettorali? E Sarah Palin, che mercoledì e giovedì ha incontrato una serie di leader internazionali, da Zardari a Karzai, avrà imparato qualcosa di politica estera dopo aver balbettato come una studentessa impreparata nelle ultime interviste televisive?
E' stata una giornata di molte domande e quasi nessuna risposta. L'unica cosa certa è che Washington Mutual, di cui il ministero del Tesoro ha preso il controllo, è l'ultima vittima della crisi di Wall Street e che la finanza americana continua a precipitare nel vuoto.
Intanto io sono arrivata a St Louis in Missouri, dove giovedì prossimo si terrà - forse - il dibattito tra i due candidati alla vice-presidenza Biden e Palin. Comincio così una settimana on-the-road attraverso alcuni stati del profondo sud americano. Parto domani da Oxford, Mississippi, dove si dovrebbe tenere il primo dibattito presidenziale tra Obama e McCain. E poi via verso l'Alabama, il Tennesse e l'Arkansas per parlare alla gente di religione, aborto, diritti civili e povertà. Per concludere tornando a St Louis in tempo per guardare la battaglia tra Biden e Palin. Se tra una settimana ci saranno anora un'economia, un governo e una campagna elettorale in grado di funzionare.